Occhio non vede, cuore non duole. Difficile applicare questa filosofia quando sono coinvolte responsabilità di lavoro. Tuttavia, in ambito software qualche volta si può chiudere un occhio appoggiandosi a un servizio serverless.
Il nome può essere fuorviante perché di fatto anche il serverless computing si appoggia sempre a uno o più server. Il termine “serverless” descrive piuttosto l’esperienza dal punto di vista del cliente che si appoggia a questo tipo di servizio, il quale agisce come se non ci fosse un server.
Il modello serverless di esecuzione del cloud computing gestisce automaticamente le risorse di calcolo necessarie per eseguire il codice di un’applicazione. Configurando specifici parametri, chi lo utilizza può impostare il servizio in modo da attivare autonomamente il ridimensionamento di queste risorse solo quando strettamente necessario. Ad esempio, quando gli utilizzatori dell’applicazione aumentano di numero l’infrastruttura scala la sua dimensione per adattarsi alle nuove esigenze computazionali.
Questo modello sposta le responsabilità di gestione dell’infrastruttura backend in Cloud e le sue attività operative sul fornitore del servizio serverless. Un’infrastruttura di questo tipo, a differenza di altri modelli, come l’Infrastructure-as-a-Service, permette di risparmiare sui costi delle risorse di calcolo perché vengono erogate solo quando utilizzate. Per questo e altri motivi, si tratta di un’opzione interessante, ma l’approccio serverless non è la soluzione definitiva. Ad esempio, le regole imposte dal gestore del servizio potrebbero vincolare la libertà di sviluppo di chi gestisce l’applicazione, o ridurne le performance.