La user experience non è esclusiva degli UX designer
UX design e altre buzzwords che raccontano un mondo più complesso
Di Niccolò Maria Menozzi
La user experience è molte cose ed alcune di queste escono dal perimetro del “UX design” in senso stretto ed entrano in quello di altre professionalità. Riflettiamo su quanto sia pervasivo il concetto di UX e di come il titolo di UX designer in realtà nasconda una responsabilità collettiva.
Grazie a Linkedin di recente mi sono imbattuto in alcuni articoli molto interessanti a tema user experience che mi hanno spinto a contribuire facendo da megafono.
Uno di questi articoli è There’s something wrong with the User Experience Designer title di Flavio Lamenza. Riassumendo la sua riflessione: ha davvero senso parlare di UX designer? Chi ha su di sé la responsabilità di una buona user experience? Si può misurare il suo valore? Proviamo a sintetizzare i punti salienti.
Le origini della UX
Don Norman, un esperto di scienze cognitive, coniò il termine user experience nel 1995, nel periodo in cui entrò in Apple. Lo fece per estendere il suo campo d’indagine non solo alla human interface e usability ma a molte altre sfaccettature dell’esperienza delle persone durante l’interazione con un sistema complesso come l’infrastruttura aziendale a sostegno di un prodotto o di un servizio.
Come fa notare Lamenza, dal 2004 Google Trends ha visto la rapida discesa della query web designer e la lenta ma progressiva ascesa di UX designer. Il mercato del lavoro cambia: superato l’Internet dei primi anni la UX e le best practices che hanno preso corpo intorno a questo concetto, emergendo da contesti d’avanguardia come quello di Norman, hanno iniziato a scalzare o affiancarsi alle prassi di design precedenti.
Durante questo processo in divenire (talvolta anche viziato dal marketing aziendale pronto a cavalcare le novità) la buzzword UX design ha inglobato molte cose, diventando sfumata.
La UX è uno sforzo corale e non c’è una responsabilità univoca
Partendo dalla definizione di UX design fornita da Interaction Design Foundation, Lamenza arriva alla ironica conclusione (spaesante) che sostanzialmente il UX design è “tutto”.
Per il Nielsen Norman Group la user experience comprende tutti gli aspetti dell’interazione di un utente finale con l’azienda, i suoi servizi ed i suoi prodotti.
In un senso davvero ampio e ricco di sfumature che coinvolge le strategie di marketing, il tone of voice, l’aspetto dei canali di vendita online e fisici e si può occupare di piacere, efficienza, divertimento, ecc…
Tempo fa anche noi abbiamo provato a dare una risposta con la nostra Panoramica sulla user experience ma sembra che arrivare a un dunque non sia facile, tanto che la Interaction Design Foundation conclude che non c’è una singola definizione di buona user experience.
UI designer, sviluppatori frontend e backend, copywriters, addetti marketing, social media managers… Tutti aggiungono un pezzo al puzzle e prendono decisioni che impattano sulla percezione globale delle persone.
Se il ventaglio è tanto ampio viene da chiedersi chi detenga la responsabilità di una buona UX e quali siano i criteri con i quali misurare il suo successo. Infatti sempre secondo l’NNG la UX, in quanto concetto complesso, non corrisponde al concetto di usability che, al contrario, può essere misurata con parametri precisi.
Per Lamenza questo dilemma è particolarmente palpabile per chi lavora in grandi aziende che contano svariate figure professionali specializzate in ambiti specifici e una gerarchia verticale molto accentuata.Ciascun team contribuisce al funzionamento globale ma tutti rispondono separatamente al proprio dipartimento con KPI specifici.
Tutte queste persone a chi rendono conto, prima di uscire dall’ufficio? Non certo agli UX designer. Quindi chi è il responsabile incaricato di questa “mente alveare”? Difficile rispondere.
Parafrasando Scott Kiekbusch, la user experience è uno sforzo collettivo e la responsabilità del suo successo è granulare, condivisa su più livelli aziendali. Se questo è il caso lo UX designer non ha alcuna esclusiva sulla user experience, quindi cosa resta dietro all’etichetta?
“C’è qualcosa di sbagliato nel definirsi UX designer”
Lamenza rende evidenti abbastanza sfumature da palesare la fallacia intrinseca di questo titolo. Il product designer, il copywriter, lo UI designer e tante altre professioni hanno confini operativi molto più marcati, ma l’approccio olistico multidisciplinare che emerge da queste considerazioni non si colloca per bene sotto l’unico cappello di UX designer.
In questo senso lo siamo un po’ tutti con gradi diversi, in ambiti differenti. Come i musicisti di un’orchestra costruiamo un’unica melodia che risulta perfetta solamente quando ciascuno fa la sua parte con competenza e responsabilità.
Daniel Burka afferma che le persone fuori dal tuo design team fanno scelte di design significative che avranno un impatto sui tuoi clienti in modo importante. Progettano il tuo prodotto. Sono designer.
Riassumendo, la UX esiste, ma quella ben progettata è una responsabilità di competenza collettiva, mentre il UX design è un tema più controverso e granulare. Il UX designer non può dirsi tale e probabilmente oggi ha più identità diverse in contesti diversi.
Pensare la UX come problem solving
Quante declinazioni professionali si nascondono al di là delle buzzwords? Essendomi trovato ad affrontare sfide di varia natura tutte ascrivibili all’ambito della UX ad ampio spettro (UI design, usability testing, questionari di gradimento, copywriting, branding, social media management…), a volte mi chiedo quanto si estenda il perimetro del nostro core in Dreamonkey, in ciò che facciamo per l’azienda e che cerchiamo di fare per i clienti.
Spesso io stesso mi etichetto come UX designer per amor di sintesi, ma mi accorgo che l’affermazione ha i suoi limiti perché sono i progetti a definirmi di volta in volta. Può confondere, soprattutto perché i clienti affrontano dinamiche e sfide diverse e non c’è una ricetta valida per tutti.
Ripensando alle parole di Burka non posso fare a meno di ricordare Harvey Keitel in Pulp Fiction: Sono il Signor Wolf, risolvo problemi
. In effetti ci sforziamo di fare proprio questo e forse è un buono spunto per pensare la UX, a prescindere dal metodo.
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