Software non significa soldi facili
Avviare un servizio online richiede impegno ma apre molte opportunità
Di Niccolò Maria Menozzi
Quante volte sentiamo parlare di una startup che ha fatto il botto con un servizio online? Da quando, nel 2006, Facebook è passato da semplice portale per universitari a piattaforma in ascesa, il racconto di Internet come potenziale miniera d’oro è entrato un po’ nell’immaginario di tutti. Tuttavia, queste storie non raccontano molto del percorso che porta al successo. Scopriamolo.
Non è raro che un privato ci contatti, in Dreamonkey, per esporci la sua idea di business e per valutare l’investimento legato alla web app o all’applicazione mobile di cui ha bisogno per metterlo in pratica.
Qualche volta il progetto imprenditoriale è chiaro e nasce dal desiderio di dare una svolta alla propria vita, avviando un’attività monetizzabile – una startup – che affianchi o si sostituisca all’attuale professione dell’interessato.
Altre volte le idee di queste persone sono poche e confuse; per alcuni, l’imprenditoria online resta un argomento fumoso ma – probabilmente per sentito dire – sanno che lì sta il futuro, che ci sono delle occasioni da cogliere e che loro desidererebbero ricavarne un utile, prendendo parte al gioco.
Spesso presentandosi con aspettative di investimento inverosimili (i preventivi li spaventano) ed eventuali proposte di joint venture o partnership non sempre edificanti, per provare a ridimensionare il budget, facendo leva sulla promessa di futuri utili da spartirsi.
In entrambi i casi, quello che constatiamo spesso è che molti arrivano senza sapere davvero cosa ci stanno chiedendo. Non sanno cosa comporta concretamente la costruzione di un business online in termini di pianificazione e mantenimento.
Non si sono mai posti il problema perché nessuno glielo ha mai fatto presente.
Forse il video di qualche discutibile “guru” del marketing o qualche servizio sensazionalistico al telegiornale hanno contribuito a radicare in loro solamente l’idea del successo e non quella del lavoro che comporta, tantomeno di quello che lo precede. Quindi il traguardo e non il percorso.
Facciamo un esempio pratico, legato alla nostra esperienza personale in azienda: un cliente ci chiede un preventivo per un servizio abbastanza comune, vale a dire una piattaforma per e-commerce.
Cliente: «Vorremmo strutturare un e-commerce per vendere nel campo alimentare: non c’è ancora nessuno che distribuisce il prodotto che offriamo noi.»
Dreamonkey: «Bene, avete già un piano commerciale sostenibile per gestire anche la preparazione dei pacchi e le consegne internazionali con la catena del freddo?»
Cliente: «Ah no. Beh, non ci abbiamo ancora pensato…»
In realtà, la conversazione è stata un po’ più articolata di così ma, per rimanere concisi, ecco uno spoiler sul finale: con una rapida ricerca su Google, in seguito si scoprì che il prodotto in questione – che non citiamo per questioni di privacy – in realtà era già abbondantemente distribuito online e la concorrenza probabilmente sarebbe stata spietata.
Inutile dire che le nostre nuove verità sulla natura complessa del commercio online e l’entità del preventivo per l’e-commerce scossero la coscienza del cliente, che scomparve dai nostri radar senza troppi convenevoli.
Alla spicciola, siamo arrivati a sintetizzare i preconcetti di questi possibili imprenditori con una frase:
«Pago lo sviluppo di una piattaforma online e il gioco è fatto, questa mi farà automaticamente guadagnare dei soldi.»
Ed eccoci al punto: questa convinzione è falsa.
Pagare qualcuno per progettare un software sul quale costruire un business non equivale a garantirsi immediatamente soldi facili e senza impegno.
Siccome Dreamonkey è qui per questo, scopriamo perché, una volta avuta un’idea per una startup, non si può semplicemente commissionare un software, metterlo online e smettere di lavorare.
Il software è utilissimo, ma è solo uno strumento
Di solito avvalersi di un software consente di velocizzare i processi, automatizzandone alcuni e rendendo più efficiente l’esecuzione di altri.
Ci offrono dei servizi che agevolano il lavoro o che migliorano il nostro tempo libero, ma non esonerano il team di una startup dall’impegno di mantenere operativo il business che ci ruota attorno.
Pensiamoci un attimo: la contabilità, l’interpretazione dei dati di salute di un servizio, le scelte strategiche per promuoverlo e i lavori di manutenzione del codice sono ancora mansioni che vengono assegnate alle persone.
Per quanti automatismi metta a disposizione, il software resta uno strumento nelle mani dell’imprenditore e sicuramente non è una slot machine.
Non c’è una leva da tirare per attivare la macchina che ci consente di raccogliere i frutti di una scommessa, senza sforzo.
Il software assomiglia più a un barbecue: innanzitutto lo si deve scegliere, comprare e montare, poi, quando si vuole mangiare qualcosa di buono, si accende la carbonella e ci si mette all’opera. Il barbecue è meraviglioso, ma regala carne eccezionale fintanto che lo si sa alimentare e regolare; certo, il prerequisito per usarlo è averlo. Come il software.
Insomma, il fatto è che c’è sempre del lavoro da fare: aggiungere funzionalità, valutare il gradimento degli utenti, garantire loro l’assistenza, migliorare la user experience, sponsorizzare il servizio su Google Ads, monitorare le statistiche d’uso, studiare nuove strategie social per aumentare il numero di users, fare manutenzione del codice per aggiustare i bug, ecc.
Quella descritta non è altro che l’ordinaria amministrazione di un’azienda responsabile, fondata su un servizio online: se ne monitora il polso per mantenersi aggiornati e competitivi.
Ma prima di lanciarsi sul mercato, affidando la prototipazione e lo sviluppo a una software house, l’imprenditore deve occuparsi di altri aspetti fondamentali della sua startup.
Prima del software viene il business plan
Il software è l’ultimo step di un attento lavoro di studio e ricerca atto a validare la sua realizzazione, dimostrando che il progetto è economicamente sostenibile.
O quantomeno che ha un potenziale concreto sul quale vale la pena scommettere, investendo i propri soldi.
Prima ancora di arrivare alla stesura di un preventivo, il cliente dovrebbe porsi una serie di domande per validare la sua idea: c’è davvero un target di utenti-consumatori ai quali interessa questa idea? Esistono già dei software di questo tipo? Quanti concorrenti si disputano il mercato? Quanto guadagnano? Con quale modello di business si potrebbe monetizzare l’idea? E così via.
Tante volte è sufficiente cercare le risposte su Google per rendersi conto che quasi certamente non saremo il prossimo Mark Zuckerberg, anche se questo significa solo che possiamo puntare a obiettivi più modesti ma comunque redditizi.
Oggi, inventare qualcosa di genuinamente nuovo e dirompente è difficile per tutti ma, se sappiamo che i risultati di un progetto necessitano tempo e impegno, sarà più facile perseverare senza scoraggiarsi.
Normalmente, la fase preliminare di business plan dovrebbe essere premura di ogni futuro imprenditore e non della software house. Il motivo è che, di fatto, questa analisi è un prerequisito in termini economico-commerciali di mero interesse di chi investe nel progetto ed esula dal workflow tecnico legato alla progettazione di una web app o di una app mobile.
I benefici del software si valutano sul lungo periodo
Business plan, progettazione e sviluppo possono richiedere un periodo piuttosto lungo (se vuoi, puoi dare uno sguardo ai tempi del web development) e di conseguenza i risultati non sono mai immediati. Bisogna essere pazienti.
Si iniziano a registrare i segnali di un servizio che funziona quando il software è pronto e l’attività avviata: con la promozione, la notorietà aumenta e di conseguenza il numero di utenti (se l’offerta ha mercato come teorizzato, chiaramente).
A quel punto, il lavoro amministrativo di cui si è accennato in precedenza è già stato messo in atto, il capitale investito comincia a tornare e il tutto prende una sfumatura molto più interessante. È il momento in cui si iniziano a raccogliere i primi frutti del duro lavoro.
Quando parliamo di startup ne sappiamo qualcosa, soprattutto riguardo al cosa NON fare quando se ne sta avviando una.
La Dreamonkey è nata proprio da un progetto che non ha ottenuto i risultati sperati (la piattaforma si chiamava Checkyourlife). A cavallo fra università e mondo del lavoro, dopo tre anni passati a casa di Francesco – nell’immancabile garage da visionari – abbiamo capito che l’inesperienza ci aveva portato a fare scelte sbagliate, compromettendo i nostri obiettivi; oggi, tornando indietro, faremmo delle scelte diverse.
Per questo stimiamo chi cerca di avviare un’attività online e ci teniamo a dare il nostro contributo per consentirgli di raggiungere i suoi obiettivi.
Ti interessa scambiare due parole sul tuo progetto davanti a un caffè? Contattaci.