I wireframes sono inutili?

Le UI low-fidelity non sono più attuali, forse

Nel 2018 usciti da un’esperienza di startup, che sostanzialmente era stata una lunga palestra di trial-and-error, ci portavamo dietro alcune ingenuità accademiche affiancate da esperienza manageriale acerba. Alcune fasi del processo di design del software dovevano ancora trovare una formula stabile, in particolare la gestione dei wireframes.

In quel periodo cercavamo di affinare un workflow compatibile con le nostre esigenze aziendali e le necessità dei clienti. Bozzetti su carta e wireframes digitali facevano parte della nostra metodologia e precedevano il design delle high-fidelity UI da trasporre in codice.

Volevamo anticipare le richieste del cliente portandolo alla UI step-by-step, cercando di intervenire il meno possibile sulle interfacce finali. Per farlo volevamo lavorare innanzitutto sui contenuti seguendo il mantra content first.
Compilare un’analisi dei requisiti del software e sottoporre questi schemi al cliente erano due modi per concentrare la sua attenzione sulle funzionalità e sulle informazioni davvero importanti, senza lasciarsi distrarre dalla grafica.

Tuttavia abbiamo capito che qualcosa non stava funzionando.

I wireframes possono togliere valore

Nei lavori più semplici il wireframing digitale minuzioso era superfluo: i classici siti aziendali o le piccole applicazioni con poche interfacce e budget contenuto di solito non hanno aree grigie critiche da sondare prima di passare alla high-fidelity UI.
Il cliente quasi sempre chiede solo modifiche estetiche, ma i wireframes non si occupano di questo aspetto. Perché investire tempo per disegnare UI digitali stilizzate quando dispongo di tool che gestiscono librerie di componenti high-fidelity già pronti e personalizzabili con poche modifiche?

Anche affrontando i primi progetti di software complessi cercavamo di coinvolgere il cliente nelle fasi preliminari di design ma spesso i manager davano segni di scarsa dimestichezza con lo strumento.
Le interfacce stilizzate sembravano confonderli. Più sintesi a volte significa meno chiarezza e in quei frangenti era lampante, i wireframes non comunicavano. Output: più tempo perso, più insofferenza del cliente e meno risultati. Queste problematiche scomparivano di fronte alla high-fidelity UI perciò ne abbiamo dedotto che il wireframing stava indebolendo il processo di design anziché rafforzarlo.

Ci siamo chiesti dove fosse l’errore e abbiamo messo in discussione il nostro metodo. Abbiamo rimosso i wireframes digitali dai progetti, limitandoci al brainstorming preliminare con l’ausilio di bozzetti fatti a mano, ad uso interno. La revisione con il cliente limitata alla sola high-fidelity UI. Per noi funzionava, il workflow è migliorato.

Ti potresti chiedere: proponevate ai clienti dei wireframes digitali poco chiari perché realizzati male o era il medium stesso a non reggere? Con il cambio di workflow non abbiamo registrato ripercussioni tangibili quindi, a prescindere dalla risposta, a quanto pare almeno in quei frangenti i wireframes erano superflui.
In seguito, leggendo i pareri di altri progettisti, abbiamo capito che non è inusuale.
I wireframes non sono la risposta a tutti i contesti.

I wireframes non sono indispensabili

Quando si parla di wireframes spesso si parte dal presupposto implicito che non farli sia un approccio negligente, in un workflow incompleto. Si dice cosa sono, in che fase vengono utilizzati, che strumenti usare per realizzarli, con quale criterio costruirli… Il nostro processo era fragile perché avevamo saltato un punto: come utilizzarli.

Lee-Jon ha scritto un articolo molto interessante in merito. Vale davvero la pena leggere tutte le sue riflessioni ma per brevità ne riporto soltanto una che riassume bene il metodo di lavoro.
L’autore scrive: «Amo i wireframes come strumento per pensare, come qualcosa che posso usare per dare forma a un’idea nella mia testa e poi gettarli via quando non sono più utili.»
Abbiamo iniziato a vederla allo stesso modo e oggi fa sorridere pensare che mentre eravamo intenti all’autocritica c’era chi, come Lee-Jon, ci aveva messo una pietra sopra già nel 2016.

Lee-Jon non è l’unico: Robert Goesch di DUMBO è arrivato a conclusioni simili. Goesch elenca in modo esaustivo quelli che ritiene essere i luoghi comuni legati a questo tema e spiega perché ha abbandonato i wireframes digitali avvicinandosi ad un nuovo approccio progettuale, che richiede una visione più ampia e trasversale del concetto di design.

 Tweet Twitter di Joe Kennedy che parla dei wireframes

Un altro scettico: Joe Kennedy, fresco di università, entrato nel mondo del lavoro è arrivato rapidamente a conclusioni che rispecchiano la nostra esperienza.
I wireframes sono inutili?

Il dibattito ha radici negli inizi del 2000 e non è mai arrivato a una risposta definitiva. Madison Borgmann ne parla in un articolo del 2018 dal titolo eloquente: Wireframes aren’t useless, but our approach to wireframing is outdated. Ci sono vari approcci e nessuno è davvero sbagliato fintanto che risponde alle esigenze di progetto.

Chiediti che ruolo hanno nel tuo processo di design, quanto tempo dedicargli senza renderlo uno step lungo e inutile (non deve diventare un costo sommerso!).
Chiediti se c’è davvero un problema significativo che può essere risolto solo con questo strumento. Se dedichi tempo a realizzare wireframes solo perché sai che “fanno parte del workflow” forse non ne hai davvero bisogno. Cosa succede se li togli dalla pipeline? Si presentano delle criticità o a parità di risultato guadagni tempo?

Il mondo è in costante divenire e ciclicamente si scoprono soluzioni più adatte a far fronte ai cambiamenti che impattano il mondo del lavoro. Sfide nuove, strumenti nuovi. Sono serviti, forse oggi non servono a tutti, ma cosa ci attende domani? La nostra risposta ce la siamo data, ma magari non corrisponde alla tua.

I wireframes sono utili se portano valore reale al progetto. Se sì, fanne buon uso, altrimenti sii pronto a farne a meno senza troppi rimpianti.

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